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Minor consumo di energia. L’obiettivo si può centrare con l’applicazione di materiale isolante sulle pareti

ISOLAMENTO TERMICO CON CAPPOTTO ESTERNO O INTERNO
Il primo intervento “trainante” è rappresentato dall’isolamento termico delle superfici opache verticali e orizzontali che interessano l’involucro dell’edificio con un’incidenza superiore al 25% della superficie disperdente lorda dell’edificio medesimo.

I materiali isolanti utilizzati devono rispettare i criteri ambientali minimi (CAM) di cui al DM del 1° Ottobre 2017.
In attesa di ulteriori decreti attuativi, l’intervento deve essere in grado di garantire una prestazione della superficie coibentata migliore rispetto ai limiti previsti dal decreto del 26 Gennaio 2010, ancora vigente e applicabile. Non viene quindi incentivata una tecnologia, ma una prestazione.

Il CAPPOTTO TRADIZIONALE
La soluzione più comune è quella del “cappotto”: si tratta di uno strato isolante posto sulla superficie esterna delle pareti disperdenti. La soluzione è ottima per risolvere la maggior parte dei cosiddetti «ponti termici», ovvero i punti in cui vi sono discontinuità (geometriche o di materiale) che generano un incremento delle dispersioni termiche. Il “cappotto” garantisce la correzione dei ponti termici legati a solai, pilastri e infissi, mentre poco può fare per correggere i ponti termici legati ai balconi (salvo immaginarsi un “impacchettamento” dei medesimi). Se l’edificio rientra nel campo di applicazione della legislazione antincendio, gli isolanti dovranno essere conformi a quanto previsto dalle norme. Operativamente, il materiale isolante viene posato sulla superficie previa “pulizia” e preparazione della medesima e poi fissato tramite elementi meccanici o colla. La finitura prevede una rasatura esterna, con successiva tinteggiatura della superficie intonacata. L’immagine dell’edificio può quindi cambiare anche radicalmente. Uno dei limiti del cappotto, oltre alla valutazione estetica, è proprio quello del peso che deve essere sopportato dalla parete su cui viene applicato: pareti realizzate con componenti laterizi non sufficientemente robusti, o semplicemente resi deboli dai cicli climatici e dal tempo, possono non essere sufficientemente stabili se ulteriormente caricati. Inoltre, il cappotto comporta un riposizionamento (o sostituzione) di tutti i davanzali, delle ringhiere dei balconi e di tutto quanto insiste sulla facciata dell’edificio. Infine, aumentando lo spessore delle pareti, l’isolamento a cappotto riduce lo spazio sui balconi e può portare a una lieve riduzione della luminosità nelle stanze, a causa di finestre che si ritrovano più in profondità rispetto al filo esterno della facciata.

L’INSUFFLAGGIO
Una soluzione ulteriore è rappresentata dall’insufflaggio, ovvero l’inserimento di materiale sfuso nelle intercapedini vuote delle pareti. Le pareti a cassa vuota sono assai frequenti negli edifici più recenti. Meno invasivo esteticamente del cappotto, l’insufflaggio presenta un grosso limite: non risolve i ponti termici, e rischia di non garantire il rispetto dei requisiti previsti dal DM del 26 Giugno 2015 e dalle sue declinazioni regionali. Inoltre, l’insufflaggio rischia di non essere particolarmente efficace in quanto spesso le intercapedini sono “ostruite” a causa di detriti di costruzione.

L’ISOLANTE ALL’ INTERNO
Infine, altra soluzione è quella di collocare l’isolante sulla superficie intera delle pareti, quindi su parti private dell’edificio (mentre la facciata è condominiale) e richiede quindi l’autorizzazione dei singoli condòmini. Tale soluzione impone una superficie libera su cui applicare l’isolante, e deve essere attentamente progettata in quanto si rischia la formazione di condensa all’interno della struttura. Si tratta dell’unica soluzione plausibile quando la superficie esterna è soggetta a vincolo e non può essere oggetto di un isolamento a cappotto. Grande attenzione va fatta ai ponti termici e alla loro correzione.